Mai come in questo momento di crisi è fondamentale per le imprese fare buoni investimenti. Non sempre però è facile capire e valutare quando un investimento debba considerarsi “buono”. Se nella scelta di un investimento escludiamo i fattori personali, allora solo il criterio quantitativo è quello in grado di dare risposte perché si basa sul confronto di grandezze misurabili e quindi comparabili.
Quale reddito ci si deve aspettare da un investimento? Quando è accettabile o quando deve essere respinta una proposta di nuovo investimento?
Nella mia esperienza professionale ho constatato come la prima valutazione che viene fatta – specialmente nelle imprese di piccole dimensioni e/o a conduzione famigliare – è quella relativa al tempo richiesto per rientrare dell’investimento: minore è il tempo, minori sono i rischi di imprevisti che possono influire sulla redditività del progetto stesso. A parità di rendimento, viene scelto l’investimento che consente di recuperare prima i soldi investiti. Questa valutazione è conosciuta in ambito aziendale come metodo della parità finanziaria, o criterio del tempo di recupero (pay back period) che indica quanto tempo è richiesto per rientrare dei capitali investiti. Ad esempio, se sto valutando un investimento di 1 milione di euro per un nuovo impianto che mi genera un cash flow positivo di 100 mila euro annui, allora occorreranno 10 anni per rientrare del capitale investito. Se invece, il cash flow fosse di 200 mila euro all’anno, allora saranno necessari 5 anni e l’investimento sembra più vantaggioso del precedente ad un primo screening di valutazione.
Il metodo del pay back period è piuttosto grezzo, ma viene molto usato nella pratica, soprattutto come prima analisi proprio per la sua sua semplicità. In estrema sintesi abbiamo quindi che
| Pregi | Limiti |
| Semplicità di calcolo, uso e comunicazione | Non considera i flussi conseguiti nei periodi successivi al periodo di backing. Quindi discrimina gli investimenti a più lunga produttività (es. investimenti di ricerca e sviluppo) |
| Si preoccupa della liquidità generata dall’investimento | Non tiene conto del valore finanziario del tempo |
| E’ un ottimo indicatore del fattore di rischio dell’investimento ma, non di rendimento | Non considera l’ammontare di capitale investito |
Un altro metodo molto utilizzato è quello del Valore Attuale Netto (NAV) o Net present value (NPV) che riporta, scontandolo al tasso di rendimento desiderato, all’anno zero tutti i flussi futuri di cassa generati da un investimento (entrate finanziarie meno uscite finanziarie). Se il saldo è positivo o zero vuol dire che il rendimento dell’investimento sarà superiore o almeno uguale a quello desiderato. Detto in altro modo, l’investimento consente dei ritorni in grado di remunerare i suoi finanziatori. Se si stanno valutando più alternative, la più vantaggiosa è quella che presenta il valore scontato maggiore. Traducendo il VAN in forma matematica abbiamo che il VAN corrisponde alla somma algebrica di tutti i flussi di cassa attualizzati, generati dal progetto.

dove:
r = tasso di sconto rappresentato dal costo del capitale
ft= flussi di cassa per gli anni da 1 a n;
Co= investimento iniziale.
La semplicità di questo metodo si scontra con due limiti principali:
- Se si esclude il capitale investito, il criterio non fornisce un indice di remunerazione specifico.
- Il metodo richiede che sia fissato un tasso di attualizzazione che è un fattore strategico aziendale: fissando un tasso troppo elevato si finirebbe con l’attuare una politica contraria agli investimenti, mentre un tasso troppo basso potrebbe invogliare fin troppo ad avviare nuovi progetti di investimento.
Un terzo metodo molto utilizzato è infine il calcolo dell’IRR (Internal Rate of Return) ovvero il tasso interno di rendimento dell’investimento: se l’IRR è uguale o superiore al rendimento desiderato l’investimento viene accettato, se inferiore viene respinto. Stimati i futuri flussi di cassa (entrate finanziarie meno uscite finanziarie), viene calcolato il tasso di rendimento che azzera il valore scontato. Nel caso di valutazione di più investimenti si sceglie quello che presenta il rendimento maggiore.
L’IRR è, per definizione, il tasso di interesse che eguaglia il valore attuale dei flussi di cassa futuri al costo degli investimenti iniziali. Tradotto in formule matematiche:

r* = tasso incognita, cioè il tasso che permette il recupero dell’investimento iniziale
ft= flussi di cassa per gli anni da 1 a n;
Co= investimento iniziale.
Tra gli svantaggi della metodologia del tasso interno di rendimento vi sono la complessità del calcolo ed il fatto che non sempre – da solo – è in grado di offrire una corretta misura di redditività. Il TIR è una espressione di rendimento, quindi una misura relativa. Non ci dice invece quanta ricchezza è generata in termini assoluti. E’ quindi possibile che progetti con TIR molto elevati abbiano una scala talmente ridotta da non produrre la stessa ricchezza che un altro progetto con TIR più contenuto ma scala nettamente maggiore potrebbe generare. In questi casi se i progetti fossero alternativi si potrebbe generare una situazione paradossale: si sceglierebbe il progetto a maggior TIR ma non si riuscirebbe a massimizzare il valore per gli azionisti.
Un altro problema nell’utilizzo del TIR riguarda l’inversione della regola di scelta nel caso in cui si considerino operazioni di finanziamento anziché di investimento: nello specifico, nel caso di investimenti è necessario che il TIR sia maggiore del costo del capitale mentre nel caso di finanziamenti è necessario il contrario: il TIR (del finanziamento) deve essere inferiore al costo del capitale. Nella realtà vi possono essere operazioni di investimento che presentano caratteri ibridi fra investimento e finanziamenti: i segni dei flussi di cassa possono invertire il segno algebrico nel tempo. In questo caso il TIR non è applicabile perché la promiscuità finanziaria dell’operazione non consente di identificare un unico livello di TIR (in alcuni casi non è neppure possibile identificare una soluzione).
Le tre metodologia discusse sopra, sono metodologie che considerano esclusivamente le variabili finanziarie di tipo quantitativo, non sono le uniche ma sono quelle maggiormente condivise nella teoria e nella prassi valutativa. Il consiglio è sempre quello di analizzare la scelta di un investimento utilizzando diversi metodi al fine di individuare la scelta ottimizzante sulla base di aspettative di ritorno, tempi di ritorno, capitale da investire, risorse disponibili e obiettivi da raggiungere.
Ad ogni modo a mio personale avviso, la superiorità del VAN come criterio di valutazione degli investimenti è un fatto accertato, e tutti gli altri metodi possono solo fornire delle indicazioni “complementari” al metodo del VAN.